L’estate porta con sé tanto “tempo libero”, utile per rigenerarsi e riprendersi dalle stanchezze del lavoro e dello studio. Ma è proprio così? Pubblichiamo su questo tema la riflessione del vescovo Antonello apparsa sull’ultimo numero del mensile diocesano L’Ogliastra (luglio-agosto).
La gioia del tempo libero e la “società della stanchezza”
Quando pensiamo al tempo estivo normalmente lo carichiamo di tante attese, ma (alla fine) ci accorgiamo spesso di averlo sprecato, se non addirittura perduto. Così che l’estate, apparentemente adattissima a favorire un modo diverso di vivere il tempo, in realtà è talvolta contraddistinta da una fretta e da un’ansia che ricordano quelle degli altri giorni dell’anno.
A un saggio indiano una volta un suo discepolo chiese in che cosa consistesse la saggezza. E il Maestro rispose: «Saggio è colui che, quando è seduto, sta seduto; quando è in piedi sta in piedi; e, quando cammina, cammina». Il discepolo rimase interdetto: «Maestro», osservò timidamente, «ma questo è ciò che facciamo tutti!». «No», rispose il saggio. «Perché la maggior parte delle persone, quando sono sedute, pensano a quando saranno in piedi; quando stanno in piedi, a quando cammineranno; e, quando camminano, a quando arriveranno». L’esempio è curioso, ma testimonia la difficoltà quotidiana di vivere autenticamente il presente, ad umanizzarlo a nostro vantaggio, forse perché “costretti” – dalla frenesia? – ad inseguire più quello che vogliamo raggiungere che a dare un senso a quello che abbiamo raggiunto.
In questo modo non c’è presente che tenga o che attiri, c’è solo un tempo per preparare quanto continuo a inseguire. Sempre più avanti, con la mente e con lo sguardo, fino allo sfinimento. Il prezzo che si paga è alto, perché nell’arco temporale in cui una volta si faceva, con calma, una cosa sola, oggi se ne vogliono fare tre, quattro, dieci, cento. Con il risultato di una perdita di concentrazione sul momento che si sta vivendo, a causa dell’ansia del prossimo obiettivo. E con il conseguente logorio del corpo e dello spirito.
Che estate allora sarà (alla fine), quella che stiamo vivendo? Sarebbe importante viverla alla ricerca di un rapporto diverso con noi stessi, che talvolta non è sbagliato identificare come un tempo per riconciliarci con la vita, accentandola senza fughe in avanti o senza preventive rassegnazioni. Perché più corriamo, meno tempo ci ritroviamo per stupirci di noi e dell’umanità, per ammirare quanto Dio compie in essa e continua a offrirci. Ecco perché il tempo, più che inseguito, va vissuto, attimo per attimo; gustato per quanto ci dona, compresa la compagnia degli amici e il giusto relax, arricchito dalla contemplazione della natura. Tempo “libero”, perché sottratto almeno in parte dalle pressioni quotidiane.
E’ ancora possibile tutto questo? Se è vero, come ha scritto un filosofo, che la nostra è la “società della stanchezza”, la ricerca della gioia di vivere sembra più segnata delle prestazioni da offrire che dalla ricerca di relazioni autentiche o dallo stupore per le “cose belle” della vita. E chi è stanco – e oggi si fa a gara per iscriversi a questa categoria… – sarà sempre più portato alla lamentela, alla recriminazione, fino ad attribuire agli altri e alla società le colpe della propria tensione.
Compito per l’estate potrebbe essere quello di evitare di inseguire sia le accelerazione del quotidiano che la “società della prestazione”, che tradiscono il cuore e la mente; imparando ad apprezzare piuttosto la ricerca paziente di relazioni vere e di emozioni durature, grazie a un’apertura al mondo e alla natura gratuita e non interessata, che sa lodare Dio per ogni dono e per ogni evento.
+ Antonello Mura