Natale. Siamo fatti per nascere
Come rendere autentico il Natale? E come evitare la tentazione di ripetere
semplicemente gesti e riti scontati? Diverse volte ho dovuto verificare che le
persone di fede a Natale sono tristi e inquiete. Troppo diversa la realtà narrata
da quella vissuta; troppe le contraddizioni tra le parole e i fatti e tra ciò che
siamo e ciò che vorremo essere.
Molta inquietudine è scritta nella cronaca. Paure, insicurezze, smarrimento,
persino angoscia trovano facile posto nella vita quotidiana. Qual è allora il
compito dei cristiani?
Accogliere l’incarnazione significa amare la storia degli uomini e lasciarsi
interrogare e provocare dalla storia. Il messaggio straordinario del Natale è
quello di un Dio che nasce e rinasce dentro le nostre difficili e complicate
storie; che con esse cade e risorge mille e mille volte; che insieme ad esse
percorre gli inferni quotidiani e le luminose risurrezioni.
Come domanda un bambino, Dio chiede per ogni persona una premura
attenta, un’ospitalità non apparente, una prossimità che susciti amore per
ogni sussulto o promessa di vita. Chiede che ogni grido di aiuto sia ascoltato e
chi bussa trovi accoglienza. Dio per primo è così, e lo sarà per sempre.
Attenzione quindi a riti e gesti scontati. Quelli senz’anima. Perché si può
celebrare il rito di Natale nelle chiese – per chi ancora lo fa – e farne uno di
segno opposto nella vita. E si rischia di vivere in comunità, attorno al
presepio, e distanziarsi con tempestive divisioni fuori dalle chiese e nella vita.
Ci si può infatti incantare davanti all’essenzialità del Natale e poi innamorarsi
delle cose inutili. Così come si può gioire per un volto di un bambino e
offenderne tanti altri, adulti compresi, con l’indifferenza, l’odio e la calunnia.
Persino con l’abuso di potere e sessuale.
Per evitare di fare del presepe un catalogo di casi umani, dobbiamo riscoprire
che col Natale riparte un cammino di speranza, perché quando nasce un
bambino si ricomincia sempre. La speranza non può essere lasciata latitante e
irreperibile. Sono in gioco, grazie all’incarnazione, la nostra immagine di
umanità, le prospettiva da dare al suo futuro, le scelte che sono necessarie
perché si concretizzi la bella espressione di Gesù nel Vangelo: “Io sono venuto
perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Per l’umanità, in tutte le latitudini, le speranze più belle sono cristiane. Non lo
diciamo per un orgoglio che ci porterebbe a contrapporci con chi non crede,
ma per riaffermare che Dio è schierato da sempre per l’affermazione
personale e sociale del vero, del buono e del bello. Concetti non teorici, ma
chiamati ad ispirare intenzioni e progetti anche nella vita sociale. Il desiderio
e la volontà di Dio si sono fatti carne, e Gesù nasce, muore e risorge per dirci
quanto la nostra umanità sia grande ai suoi occhi, e come sia da amare e da
salvare continuamente.
Il Natale ci ricorda quanto sia importante ripartire, ricominciare,
impegnandoci per un progetto di umanità ispirato dall’incarnazione di Dio.
Intrigante, su questa possibilità continua della nascita, l’affermazione della
storica e filosofa Hannah Arendt la quale, contestando il suo maestro e
filosofo Martin Heidegger, sosteneva che gli esseri umani non sono fatti per
morire ma per nascere. Buon Natale e buon 2024!
- Antonello Mura