Il Natale di Gesù, ogni anno, ci offre la possibilità di recuperare l’autentico senso della vita. Con la sua nascita Dio si fa piccolo, entra come uomo nell’esistenza di tutti e dimostra che non vuole stare “sopra di noi” ma “dentro” la nostra storia. Da quel momento e per sempre, grazie a lui posso ricostruire la mia vita, coltivare i sogni più belli, perché la sua nascita diventa la mia, e la sua divinità apre un orizzonte nuovo alla mia umanità.
E’ importante quindi pensare (e credere) che la nascita di Gesù sia la continua memoria di Dio che si è fatto uomo, che da allora ha messo il suo nome tra i nostri nomi, ha firmato per sempre, con firma irrevocabile, la sua compagnia con noi umani.
A pensarci bene però, ci stiamo abituando a un Natale senza questa notizia. Senza la notizia più importante, appunto: che Dio si è fatto uomo. Che è una notizia non scontata – oggi come ieri – e che pian piano abbiamo sostituito con una notizia immaginata, forse volutamente, ma sempre immaginata – che tra l’altro fa rima con immaginette! – con la sconcertante conseguenza che ci tocca pure dirci cristiani senza aver mai letto uno dei quattro Vangeli. Ed è sicuro: lontani dal Vangelo si smarrisce anche la Buona Notizia del Natale.
E non sarebbe male, non ci farebbe male, recuperare questa Notizia attraverso la grandiosa piccolezza di ogni creatura che nasce. Che ha un’enorme forza simbolica, che poco valorizziamo per parlare del senso del Natale di Gesù.
Guardando questo Bambino non riesco infatti a non pensare a quello che continua a dirmi: sono diventato uomo, diventa anche tu un uomo. Diventalo a immagine e somiglianza di Dio. Diventalo nonostante le molte disumanità che accompagnano l’esistenza, e che talvolta fanno pensare che sia impossibile diventare umani. E ancora: grazie al volto del Gesù Bambino guarda con simpatia la faccia di chi viene al mondo, e sorridi con fiducia pensando al suo e nostro futuro, nonostante le ombre, le cattiverie e i conflitti che macchiano, persino insanguinano questa terra, mostrandola disumana e ingiusta.
Ed è straordinario lo stupore che ci prende quando guardiamo un bambino appena nato. Stupore da non spegnere, che mi parla del Natale del Dio fatto uomo, ma che purtroppo sempre meno sembra accompagnare le coppie e le famiglie. A leggere infatti i recenti dati Istat del novembre scorso si conferma che siamo in pieno e gelido inverno demografico, viste le dodicimila nascite in meno nell’ultimo anno. Ecco, da cristiani è ora che ci interroghiamo non superficialmente sulla denatalità, in un Paese come l’Italia che continuiamo a definire “cattolico”, o forse continuiamo semplicemente a immaginarlo.
E mi chiedo: quanto i nostri giovani sono aiutati a interrogarsi su questo tema? E quanto promuoviamo nei nostri ambienti una riflessione che partendo dallo “scandalo” di Betlemme – di un Dio fatto “carne” – si pone il problema di una mentalità che sotto sotto non apprezza, se non a parole o tra le crocette di un sondaggio, la nascita di un figlio?
Non è sufficiente parlare di lavoro che manca o di servizi che sono scarsi, anche perché quelli che il lavoro ce l’hanno, e pure buono, si fermano al figlio unico.
Mi piacerebbe allora che questo Natale, oltre a renderci consapevoli della necessità di nuove politiche a sostegno delle famiglie – segnalo un bell’articolo di Luciano Moia in Avvenire del 30 novembre scorso – ci educasse a vedere nella nascita di un figlio – ad immagine di quella di Gesù – il simbolo di una sfida da affrontare, di un investimento per il futuro, di un traguardo di umanità da perseguire e da benedire.
Buona Natale!
+ Antonello Mura