Si risorge con le proprie ferite
A Pasqua credere in Dio può risultare anche facile. Perfino troppo agevole. In realtà per gioire della risurrezione, cioè del passaggio dalla morte alla vita, il credente deve prima credere che il venerdì santo non ha l’ultima parola. Deve cioè rifiutare la logica del non c’è nulla da fare, del tutto è finito.
La morte, come la sofferenza, ha molte sfaccettature, soprattutto ha un dinamismo che si frappone, talvolta fino a sconfiggerlo, al desiderio di vivere. Qualunque morte, quella interiore, spirituale o morale, oltre a quella fisica – irrimediabile ai nostri occhi – riesce sempre a farci sperimentare quanto ci manchi la certezza della vittoria della vita.
Per questo il versetto evangelico di Giovanni (20,1), dove è scritto che il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro, è come uno straordinario appello che ognuno può rivolgere a Dio: dimmi il giorno, dimmi l’ora, fammi conoscere i dettagli della luce che vince il buio.
Tutti conosciamo, e non dimentichiamo, volti e storie che hanno sperimentato la malattia e la prova, e per questo ci apparivano irrimediabilmente destinate a non vedere più luce, racchiuse com’erano in tombe di ogni tipo, con la sola compagnia delle tenebre. In quel momento, la notizia più bella è scoprire che il cammino della fede può diventare cammino da risorti, perché ha il compito di far passare dalla notte al giorno, dal buio alla luce.
Il pianto di Maria Maddalena (cf Gv 20,2-18), nonostante attorno a lei ci siano angeli, discepoli e lo stesso Gesù (Donna, perché piangi? Chi cerchi?), segnala in modo drammatico la propria impotenza di fronte a quanto è accaduto e non doveva accadere, ma anche il tormento affettuoso che spinge a cercare e quindi a scoprire una presenza desiderata.
Gesù, non riconosciuto, pronuncia il suo nome: Maria! E lei, raggiunta da una voce impareggiabile, prova grande gioia nel riconoscerlo vivente, ritrovandoselo accanto a sé, e gli dice: Maestro!
Importante ripeterci, quando siamo avvolti dall’oscurità e segnati dalle ferite della vita, che neanche per la Maddalena ci fu un riconoscimento immediato della risurrezione di Gesù. E se non avvenne per lei… non sarà mai facile neanche per noi! Anche perché, altro dato non insignificante, il Vangelo quando rappresenta il Risorto lo fa senza trionfalismi, evitando un’ostentazione di potenza. Unica ostensione quella delle ferite: mostrò loro le mani e i piedi. Noi risorgiamo se accettiamo le nostre ferite e le fragilità che ci accompagnano. Ed è bellissimo pensare che i nostri chicchi di grano che cadono in terra, immagine delle fatiche donate e del nostro sacrificio offerto, porteranno sempre dei frutti, perché non possono rimanere nella morte. E che, soprattutto, le nostre ferite d’amore avranno sempre una risposta di vita.
Cercherò il Signore risorto non nei miei sepolcri, ma tra i viventi. Lo rintraccerò nei volti e nelle storie di chi, anche nel pianto, non ha ceduto alla rassegnazione. E lo troverò in coloro che hanno vinto la paura di morire, scegliendo di continuare ad amare, nonostante tutto. Ritroverò così, nelle mie albe faticose, il Risorto che non ha smesso di chiamarmi per nome.
Buona Pasqua di risurrezione!
+ Antonello Mura